Nautica: Barche Transformer / Italia 2018
Interessante intervista di Andrea Mancini per la rivista NAUTICA (Giugno 2018) sulle barche transformer al progettista di EVO 43 Valerio Rivellini
Oggi gli yacht, grandi o piccoli che siano, sono invece sempre più aperti verso l’esterno, a partire dai ponti scoperti che, con il crescere delle dimensioni, diventano sempre più ampi e attrezzati di ogni amenità: aree prendisole, zone living, beach area, fino ad arrivare, sugli yacht più grandi, alle piscine e, addirittura, alle cascate. Di questo ne abbiamo già parlato circa un anno fa, sempre su queste pagine nelle quali esaminavamo i motivi di questa trasformazione architettonica, ovvero l’esigenza, di giorno in giorno sempre più sentita, di mettere in contatto l’interno dello yacht con l’esterno, con il mare, anche facendosi aiutare della tecnologia che oggi abbiamo a disposizione.
Ecco allora portelloni che si sollevano, terrazze che si aprono, coperture che scorrono dando luce e aria agli ambienti sottostanti: sono tutte diavolerie che negli ultimi anni si stanno sempre più diffondendo proprio grazie alle moderne tecnologie che permettono di applicare complessi cinematismi di movimentazione anche alle grandi e pesanti parti mobili di cui è spesso dotato un moderno yacht. Tanto che, in certi casi, le barche diventano dei veri e propri transformer, ovvero barche che, come i celebri robot dei cartoni animati e dei film, sono in grado di cambiare radicalmente il loro aspetto.
La trasformabilità può essere finalizzata non solo per “aprire” le barche. Esistono infatti delle “trasformabilità” che rendono una barca un mezzo anfibio oppure dove l’intera tuga si muove sul ponte di coperta al fine di creare spazio dove serve e bilanciare i pesi a bordo.
Per dare un’idea di che cosa stiamo parlando, abbiamo riportato su queste pagine alcuni esempi di questa trasformabilità, barche con le soluzioni più disparate originali e sorprendenti. Tutto bello, anzi bellissimo! Però, alla fine, tutti ci domandiamo: e se qualcosa non funziona? Se qualcosa si rompe? Cosa faccio? Resto con la barca “aperta”, murate ribaltate, scalette e piattaforme in acqua, mentre magari arriva un bel temporale con annesso groppo di vento?
Infatti, come si può facilmente immaginare, dietro a questa trasformabilità c’è tanta tecnologia, tanti componenti meccanici in movimento, circuiti elettrici ed elettronici, impianti oleodinamici ecc. Insomma c’è tanta roba e, soprattutto, tanta roba complicata che non può, non deve rompersi.
E se invece si rompe? Tra le persone che vanno per mare tutti i giorni, che lavorano in mare, è molto diffusa la tendenza ad avere barche estremamente spartane, solo con lo stretto necessario e nulla più: se una cosa non c’è non si può rompere! È questa la frase tipica che ti dicono i pescatori quando gli chiedi perché non mettono gli antivibranti al motore oppure un banale tergicristallo.
Sì, sto proprio parlando del tergicristallo per pulire il vetro della timoneria. Mi è personalmente capitato di salire a bordo di un peschereccio appena costruito dove c’era solo il necessario e nulla più. Il tergicristallo ovviamente non c’era. E il peschereccio non era nemmeno tanto piccolo (14 o 15 metri). Ovviamente a giustificazione di tanta sobrietà c’è anche l’aspetto economico…. Ma per un tergicristallo pure? Forse sì.
Se questa filosofia è del tutto comprensibile e rispettabile dal punto di vista del pescatore, non ha però senso per chi sceglie la barca come mezzo per lo svago e il relax, che quindi vuole il comfort prima di tutto. Altrimenti perché spendere importanti somme di denaro per andare in vacanza e stare scomodi o star male? Lo stesso pescatore, che non vuole il tergicristallo sulla sua barca, poi ha l’automobile con l’aria condizionata e gli alzacristalli elettrici e non ci ha pensato nemmeno un secondo che poteva farne a meno. Anche perché sulle auto di oggi questi “optional” non sono più considerati tali. Ma in mare è diverso. I marinai, che sono tipicamente molto conservatori, hanno tradizioni e convinzioni talmente radicate che con difficoltà vengono scalzate dalle nuove tecnologie.
E allora come la mettiamo con queste barche che abbiamo definito “transformer”?
Sono giustificate le paure del nostro pescatore? Tutta questa tecnologia applicata nel mondo del diporto nautico per avere barche sempre più comode, versatili e “trasformabili”, è sicura?
Per saperne di più abbiamo rivolto qualche domanda a Valerio Rivellini, l’ingegnere che ha progettato sia la barca sia tutti i cinematismi di EVO, imbarcazione di soli 43 piedi con la quale il concetto di trasformabilità è stato portato all’estremo con soluzioni davvero ardite che permettono di aprire le murate e trasformare il pozzetto in una terrazza di oltre 25 metri quadrati a contatto con il mare.
Il risultato è quello di una barca il cui guscio primordiale, dalle linee pulite e dal design minimalista, è capace di trasformarsi in una strana creatura che si apre protendendosi verso il mare e assumendo una configurazione che con una barca classica ha ormai veramente poco a che fare. Questa estrema trasformabilità, che in casa EVO hanno chiamato proprio “opening rEVOlution”, ha portato a un indiscusso successo di questo bel day cruiser made in Italy costruito da Blu Emme Yachts, disponibile, oltre che nella versione classica, anche nella versione Walkaround e CC (Center Console) motorizzabile con FB o EFB.
Evo è la barca che forse rappresenta il punto di svolta della trasformabilità di una barca. Qualcuno già si era avventurato su questa strada, penso al Wider, ma con EVO il concetto di trasformabilità è stato spinto a livelli mai toccati prima e coinvolge praticamente tutta la barca, non solo una parte come nella maggior parte dei casi. Come vi è venuta l’idea così innovativa e, in quanto tale, anche così rischiosa?
Chi sceglie una barca come EVO è, in genere, l’armatore di un superyacht o il proprietario di una grande villa al mare abituato ad avere a disposizione grandi spazi che poi vuole ritrovare anche quando va in mare, a bordo del suo motoscafo. Sui day cruiser di medie dimensioni oggi sul mercato, invece, non c’è sufficiente spazio per far muovere tutte le persone a bordo senza che si intralcino tra loro. Prendisole a poppa, un corridoio che porta in pozzetto dove c’è un divano a C oppure a L: questo è il layout standard che non lascia molto spazio libero. L’idea è quindi stata quella di dare, su un 43 piedi, lo stesso spazio che si ha a disposizione su un 85 piedi, aprendo la barca e ricavando ben 25 metri quadrati trasformabili a piacimento che possono diventare un enorme prendisole, un tavolo per 12 persone, un elegante spazio per due chaise longue oppure una pista da ballo. E tutto ciò non deve essere complicato, anzi deve essere estremamente semplice e mobile friendly: ogni armatore, anche quello poco esperto, deve poter condurre la barca. Ecco quindi la scelta della propulsione IPS e la possibilità di gestire la barca anche tramite iPad.
Murate che si aprono, pedane che si sollevano: questa è l’essenza di EVO. Una volta studiato e definito il cinematismo, il movimento che si vuole realizzare con la pedana o un altro elemento qualsiasi della barca, immagino che questo sua stato ingegnerizzato ad hoc, ovvero sono stati definiti i vari elementi (materiale, dimensioni), scelto il modo con cui farli muovere (idraulico elettrico) e l’elettronica di controllo. In questo percorso quali sono state le scelte caratterizzanti sia per la sua funzionalità sia per la sicurezza?
Per prima cosa la barca è nata per essere aperta! Non abbiamo preso uno scafo esistente per adattarlo all’idea che avevamo maturato, ma abbiamo disegnato la barca ex novo. Questa è stata una scelta molto impegnativa per noi che, però, si è dimostrata vincente. Inoltre ogni elemento, ogni componente è stato studiato e progettato per essere sempre facilmente accessibile: su Evo posso mettere le mani su tutta la meccanica e l’idraulica di bordo senza usare nemmeno un cacciavite.
Per rendere possibile tanta “trasformabilità” è necessaria tanta tecnologia, per qualcuno troppa!
Infatti, uno degli assiomi contro la tecnologia dice (più o meno) che “più aggeggi tecnologici installo e più roba (potenzialmente) si rompe”.
È ciò che pensano spesso coloro che in mare ci lavorano tutti i giorni, come i pescatori, che sono spesso restii a rendere più tecnologica la loro barca. Come si fa invece a rendere “sicura” tanta tecnologia”? Essere certi che nulla si rompa?
Partiamo dall’inizio. Innanzitutto, ogni parte mobile è stata progettata ad hoc (portelloni, ali, terrazze) tenendo conto sia della cinematica sia dell’accessibilità ai componenti idraulici per facilitare la manutenzione ed eventuali interventi. Inoltre, tutte le movimentazioni sono idrauliche, scelta motivata dalla maggiore affidabilità di questa tecnologia.
Non a caso, nel mondo delle grandi navi, le gru, i portelloni mobili, sono tutti movimentati idraulicamente. E non si sente mai, ad esempio, di un traghetto con il portellone del garage bloccato.
Per tornare poi ai pescatori che non si fidano della tecnologia, se da una parte è vero che rinunciano al tergicristallo elettrico, dall’altra non rinunciano affatto all’argano idraulico per tirar su le reti. Semplicemente perché l’idraulica dell’argano non si rompe!
Ok agli impianti e alle movimentazioni idrauliche, ma come si fa a rendere sicura tutta l’elettronica di controllo che permette ad Evo di essere gestibile addirittura via iPad?
In realtà a bordo di EVO non c’è elettronica, almeno per quel che riguarda le movimentazioni. Con l’iPad, o con la domotica più in generale, si aziona solo il bottone di comando che poi, tramite un semplice circuito elettrico, aziona la pompa idraulica di ogni singolo elemento. Tutto esattamente come su una collaudatissima nave.
La domotica a bordo di Evo è solo una comodità, non è la sostanza. In questo quadro generale, poi, si inserisce la nostra parola d’ordine: ridondanza.
In che senso?
Tutti gli impianti sono gestiti con 3 livelli di ridondanza: il primo livello, quello più immediato e “normale”, prevede una gestione domotica tramite touch screen e/o iPad. Esiste poi un secondo livello di gestione tramite pulsantiere che bypassano la gestione domotica. Infine, al terzo livello, abbiamo la possibilità di intervenire direttamente su ogni valvola idraulica con una pompa manuale per consentire la movimentazione in emergenza di qualsiasi componente mobile. In pratica se la domotica non funziona agisco con una leva direttamente sulla pompa, proprio come su un peschereccio. In questo modo, grazie alla scelta della movimentazione idraulica, anche se ho un guasto, un blackout elettrico, posso riportare ogni componente nella sua posizione di navigazione. Infatti, in questo tipo di impianti i problemi generalmente sono legati ai sensori di movimento che non funzionano, mentre l’idraulica è molto difficile che si rompa. E su Evo non ci sono sensori ma solo fine corsa meccanici.
Com’è possibile non avere sensori? Nella vita normale ci imbattiamo quotidianamente in mille sensori che interrompono il movimento di un cancello o delle porte di un ascensore. Come è possibile garantire che il movimento di un componente della barca o di un suo accessorio non procuri danno a persone e/o cose?
Una prima sicurezza è data dall’allarme acustico e dalla descrizione real time sui visori di bordo di ogni singola movimentazione. Ma, soprattutto, tutte le movimentazioni idrauliche sono dotate solo di pulsanti azionatori e non di interruttori. Mi spiego: se devo aprire o chiudere la murata è necessario rimanere per tutto il tempo della movimentazione con il dito sul pulsante, altrimenti appena lo alzo il movimento si blocca. Quindi nulla può accadere accidentalmente, per caso.
Da chi sono realizzati i componenti mobili presenti su EVO? Sono elementi commerciali assemblati a bordo oppure vi rivolgete a officine specializzate che realizzano componenti ad hoc??
Tranne la pedana Transformer a poppa, che viene fornita da Opacmare, tutto il resto è stato ideato e progettato qui a studio e costruito direttamente dall’officina meccanica specializzata del cantiere. Il risultato è stato eccezionale sia in termini estetici e funzionali sia di affidabilità, praticamente assoluta.
Quanto tempo è stato necessario per arrivare dall’idea alla prima barca, all’EVO numero zero?
La fase di progettazione è iniziata dopo il salone di Genova del 2014 e la prima barca è andata in acqua ad agosto dell’anno successivo per essere presentata ufficialmente nei saloni autunnali.
Oltre che un successo mediatico e di immagine, Evo è anche un successo commerciale. Quali sono i numeri
di questo successo?
Al momento sono state prodotte, complessivamente tra i tre modelli, 14 barche e abbiamo 12 dealer in tutto il mondo. Sull’onda di questo successo stiamo lavorando al progetto del nuovo EVO 56 piedi, una barca che, pur avendo tre cabine, riprende comunque le linee e la filosofia del 43.
EVO è un’idea di barca che sta avendo, ci sembra, molti tentativi di imitazione. C’è qualche competitor che vi preoccupa?
Ci sono molti cantieri che producono barche con terrazze abbattibili e cose simili, ma nessuno ha le caratteristiche di EVO sia in termini di capacità di trasformarsi sia in termini di sicurezza e affidabilità della tecnologia a bordo. Almeno per ora…